Storia del Kosovo

Il Kosovo: un pò di storia

La questione Kosovo, è una costante della storia serba e jugoslava e si e’ drammaticamente acuita quando, nel 1989, l’allora capo del Partito comunista serbo Slobodan Milosevic abolì lo statuto autonomo della provincia a suo tempo concesso da Josip Broz Tito. Il Kosovo e’ un territorio di 10.887 chilometri quadrati (grande all’incirca come l’Abruzzo), prevalentemente montuoso e a vocazione agricola, con capitale Pristina. La popolazione era stimata prima del conflitto del 1998 a circa 2 milioni di abitanti, di cui 1.600.000 albanesi, 200.000 serbi e 200.000 di altre etnie (croati, bosniaci, rom, turchi). Attualmente si calcola che circa 187.000 persone di etnia non albanese, per la maggior parte serbi, abbiano lasciato la regione. Le lingue parlate sono l’albanese, il serbo e il turco. Il Kosovo, nel medioevo culla della civiltà’ serba e prima sede della sua capitale, e’ stato teatro di grandi battaglie degli eserciti della cristianità contro i turchi, risoltisi in due clamorose sconfitte, nel 1389 a Kosovo Polje (Campo dei merli) per i serbi e nel 1448 per gli ungheresi di Giovanni Hunyadi, che hanno aperto i Balcani alla dominazione ottomana. Nel XX secolo, ha seguito le sorti della Jugoslavia di Tito, che ne ha decretato l’autonomia nel 1974. Nel 1989 Milosevic ha abolito lo statuto autonomo, rinfocolando le già’ forti pressioni indipendentiste. Nel 1991, il Kosovo si e’ dichiarata repubblica e tramite un referendum clandestino ha proclamato l’indipendenza da Belgrado. Lo scrittore e intellettuale Ibrahim Rugova e’ stato eletto presidente di questa ‘repubblica ombra’ nel 1992. Gli albanesi hanno boicottato tutte le istituzioni federali, comprese le scuole. Nell’autunno 1998, prendendo a pretesto l’attività dell’Esercito di liberazione kosovaro (Uck), Milosevic ha lanciato una sedicente campagna antiterrorismo che si e’ rivelata una vera e propria pulizia etnica. Il numero di profughi albanesi dalla provincia e’ altissimo, e a un certo momento e’ arrivato a superare le 700.000 persone. Il 24 marzo 1999, dopo un infruttuoso negoziato a Rambouillet (Francia), la Nato ha iniziato bombardamenti sul territorio jugoslavo. Milosevic ha reagito dapprima inasprendo la repressione contro gli albanesi kosovari, poi, il 10 giugno, ha ceduto a causa della minaccia di un possibile intervento terrestre delle forze Nato. Con la risoluzione 1244 dell’Onu il Kosovo, pur rimanendo formalmente territorio jugoslavo, e’ passato sotto l’amministrazione dell’Onu (Unmik), appoggiata da forze di pace internazionali (Kfor). Col ritorno dei profughi albanesi, e’ iniziata una contro-pulizia etnica ai danni dei serbi. Il 28 ottobre 2000 si sono svolte le prime elezioni locali, boicottate dai pochi serbi (circa 100.000) rimasti nella provincia. Ha vinto la Lega democratica del Kosovo (Ldk) del moderato Rugova contro il piu’ radicale Partito democratico kosovaro (Pdk) dell’ex comandante dell’Uck Hasim Thaqi. Lo status della provincia resta al momento nel limbo, ma Rugova subito popola vittoria ha chiesto alle Nazioni Unite di riconoscere l’indipendenza di fatto realizzata. Belgrado si oppone e chiede la piena applicazione della risoluzione 1244 dell’Onu, che prevede fra l’altro il rientro di tutti i profughi, quindi anche dei serbi. Nel novembre 2001 si sono svolte di nuovo le elezioni politiche che hanno dato la vittoria a Rugosa. Il suo Ldk ha ottenuto il 46,29 per cento dei consensi, il Partito democratico dell’ex comandante politico dell’Uck Hashim Thaqi il 25,54 per cento, l’Alleanza per il futuro del Kosovo il 7,82 per cento e la coalizione serba ”Potrovak” il 10,96 per cento. Nelle elezioni amministrative dell’ottobre 2002 ha nuovamente vinto la Lega democratica di Rugova, che però e’ apparsa in calo di consensi. La situazione politica in Kosovo e’ stata definita dalle ultime elezioni generali che si sono svolte il 23 ottobre 2004. La Lega democratica (Ldk) del rieletto presidente Ibrahim Rugova, con il 45 per cento dei voti, ha conservato i suoi 47 seggi in parlamento (su 120). In lieve crescita il Partito democratico (Pdk) del premier uscente Bajram Rexhepi salito al 29 per cento con 30 seggi ma che tuttavia e’ diventato la principale forza d’opposizione. A guidare il nuovo governo e’ stato infatti designato l’ex comandante della guerriglia Ramush Haradinaj, leader della terza forza politica della provincia che con l’8 per cento dei voti ha appena nove deputati. Al quarto posto, con il 6 per cento dei voti e 7 deputati si e’ piazzato ”Ora”, il nuovo movimento del magnate dell’editoria Veton Surroi alla sua prima prova elettorale. Dieci seggi del parlamento sono riservati per legge alla minoranza serba (che li ha ottenuti nonostante abbia boicottato il voto), e dieci alle altre minoranze della provincia. La scelta di Rugova di costituire il governo con Ramush Haradinaj ha suscitato polemiche da parte di Belgrado e perplessità presso la comunità internazionale: Haradinaj infatti rischiava l’incriminazione da parte del tribunale internazionale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità commessi durante il conflitto in Kosovo. Dopo pochi mesi la situazione e’ divenuta insostenibile anche perché proprio quest’anno il Kosovo attende di veder deciso il suo status definitivo e gli albanesi – in totale divergenza coi serbi – insistono per una totale indipendenza. Haradinaj doveva cedere e il 9 marzo si consegnava spontaneamente al tribunale dell’Aja, dove veniva subito incarcerato e formalmente incriminato (per omicidio, stupro e altre violenze), salvo essere in seguito rilasciato in attesa di giudizio, ma con il divieto di partecipare alla vita politica .  Al suo posto il 23 marzo 2005 veniva insediato col voto di fiducia del parlamento Bajram Kosumi. Veniva ancora una volta respinto il suggerimento dell’Ue di allargare il governo anche al Partito democratico (Pdk) dell’ex comandante politico della guerriglia Hashim Thaqi. ”Il mio governo rispetterà lo stesso programma del governo precedente”, ha annunciato Kosumi in aula confermando la sostituzione di appena due ministri. Il premier ha ribadito fra le priorità del nuovo esecutivo la richiesta di indipendenza per la provincia, il raggiungimento degli standard democratici richiesti dalle Nazioni Unite e la realizzazione delle riforme economiche. Lo status definitivo del Kosovo e’ ora al centro di un negoziato internazionale coordinato dal  nuovo emissario speciale dell’Onu ed ex presidente finlandese Martti Ahtisaari. Un negoziato che resta tuttavia complesso per la distanza tra le posizioni del governo locale kosovaro, che preme per l’indipendenza immediata, e quella della leadership serba, che insiste sui propri diritti di sovranità territoriale sulla regione (ribaditi solennemente dopo la guerra del 1999 dalla risoluzione 1244 dell’Onu) e resta  ferma sullo slogan ‘piu’ dell’autonomia, meno dell’indipendenza’. Una impasse di fronte alla quale stenta a decollare anche la proposta di indipendenza graduale e condizionata – con promesse di tutela per ciò che resta dell’ormai assediata minoranza serba ventilata informalmente da alcune cancellerie occidentali. Il 17 febbraio 2008 il Parlamento di Pristina, riunito in seduta straordinaria, ha approvato la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo letta dal premier Hashim Thaçi e ha battezzato i suoi simboli nazionali: la bandiera e lo stemma. Il discorso pronunciato dal premier parla di una Repubblica democratica, secolare e multietnica, guidata da principi di non discriminazione e uguale protezione da parte della legge. Immediatamente dopo la proclamazione, il governo serbo si è affrettato a dichiarare illegittima tale affermazione,chiarendo che mai la riconoscerà.

Origine del nome: la provincia prende il proprio nome dalla località di Kosovo Polje (Fushë Kosovë in albanese), 8 km a sud-ovest di Pristina, teatro della battaglia omonima del 1389, simbolo della resistenza serba contro l’avanzata dell’Impero ottomano nei Balcani. In serbo Kosovo Polje (Косово Поље) significa, alla lettera, “Campo del merlo” (o “Piana del merlo”), essendo kosovo la forma declinata possessiva della parola slava e serba Kos (Кос) “merlo”, ossia “del merlo”. Il toponimo – per altro molto diffuso in ambito slavo, sino alla Bielorussia – è di origine slavoserba, non avendo alcun significato proprio in albanese, che ne ha fatto un prestito, limitandosi a tradurre “campo” (Fushë), ma non “merlo” (che in albanese è Çavë) e a mutare la vocale finale in “Kosovo”

Storia:
i primi abitanti della provincia dei quali si abbia notizia storica furono gli Illiri e la stirpe Illirica dei Dardani, nome loro assegnato sia dai Greci che dai Romani. La provincia, nota come parte della Dardania e caratterizzata in epoca antica da un livello sempre molto scarso di urbanizzazione e di penetrazione della civiltà classica, fu occupata da Alessandro Magno nel IV secolo a.C. Caduta nell’orbita romana nel II secolo a.C. e assoggettata da Augusto nel 28 a.C. per essere incorporata nella provincia di Moesia, divenne, ormai in gran parte romanizzata, nel IV secolo, parte della Provincia di Dardania dell’Impero Bizantino. In seguito, l’Impero Bizantino, concentrato sulle guerre in Oriente contro i Persiani e poi contro gli Arabi musulmani, allentò la propria autorità e il proprio controllo sull’entroterra balcanico.

Slavizzazione (VI-XIV secolo):
tale situazione da un lato favorì le prime colonne di slavi che, provenendo dal sud dell’attuale Polonia, attraversarono Carpazi e Danubio, ed iniziarono a penetrare verso il cuore dei Balcani attorno al VI secolo, dall’altro permise alle popolazioni illiriche che vivevano nell’entroterra della bassa costa adriatica di espandersi verso est, in direzione all’odierno Kosovo, conservando la propria lingua di stampo illirico. Dalla metà del IX secolo sino al 1014 la provincia fu occupata da Serbi provenienti da est. Fu in questa fase che queste genti cominciarono ad essere individuate dai propri vicini con il nome di “albanesi”, che ne designava anche la lingua, della quale non esisterà ancora sin agli albori del Rinascimento alcuna traccia o forma scritte, né forme di statualità autonoma. Dopo la caduta dell’impero bulgaro a opera dei bizantini, gli albanesi, così ormai designati a Bisanzio e cristianizzati, divennero tributari di Basilio II e quindi alleati dell’Impero Romano d’Oriente dopo che, nel 1054, fu consumato lo Scisma d’Oriente-Occidente. Nel frattempo, gli slavi penetrati da nord nella penisola balcanica, si erano divisi in tre grandi gruppi omogenei: sloveni, croati e serbi ed avevano, entro il XII secolo, preso saldamente il controllo di tutta la parte occidentale della Penisola Balcanica, sino al confine con l’odierna Albania e con il Kosovo. La Serbia a quell’epoca non era ancora un regno unificato: un certo numero di piccoli principati (Župan) serbi esisteva a nord e a ovest del Kosovo, i più potenti dei quali erano la Rascia (zona centrale della moderna Serbia) e la Doclea o Dioclea (Montenegro e nord dell’Albania). Questi principati erano spesso in lotta con l’Impero. Nel 1180 circa, il signore serbo Stefano Nemanja prese il controllo della Doclea e di parte del Kosovo. Il suo successore, Stefano Prvovenčani assunse il controllo del resto del Kosovo dal 1216, creando in tal modo uno Stato che incorporò la maggior parte dell’area che costituisce oggi Serbia e Montenegro. A partire dal XIII secolo, i sovrani della dinastia Nemanjić usarono alternativamente Prizren e Pristina come loro capitali. Numerose chiese e monasteri serbi ortodossi furono edificati all’interno del territorio serbo. Il Kosovo fu economicamente importante, come pure la città principale del Kosovo moderno, Pristina, fu un rilevante centro commerciale sulle strade che conducevano ai porti del mar Adriatico. Del pari, l’attività mineraria ebbe grande importanza a Novo Brdo e Janjevo. Le comunità Sasi che agivano in quei luoghi provenivano dalle regioni minerarie della Sassonia e dalla città mercantile di Ragusa. La composizione etnica della popolazione del Kosovo durante questo periodo è oggetto di controversia fra gli storici serbi e albanesi. La maggioranza dei nomi nei registri dei monasteri è scritta in caratteri slavi piuttosto che albanesi. L’identità etnica nel Medioevo fu in qualche misura un elemento fluido in tutta l’Europa e la gente a quel tempo non sembra aver definito sé stessa in modo rigido come gruppo etnico. Quanti appaiono di etnia serba sembra siano stati la popolazione culturalmente e linguisticamente dominante, e furono probabilmente anche la maggioranza demografica: lo prova la carta di fondazione di Dečani, il più antico dei pochi documenti esistenti, che è però del 1330, almeno cento anni dopo l’inizio della dominazione serba e conseguente possibile assimilazione. Nel 1346 Stefano Dušan fu incoronato zar dei serbi, vlachi, greci e albanesi, ma con la sua morte nel 1355 l’impero si disgregò in litigiosi staterelli a carattere feudale: il Kosovo toccò alla dinastia dei Mrnjavčević. Ciò si verificò in concomitanza con la prima espansione ottomana nei Balcani: l’Impero ottomano colse l’opportunità offertagli dalla debolezza greca e serba e invase quei territori.

Battaglie celebri: la battaglia della Piana dei Merli avvenne sul campo di omonimo il 28 giugno 1389, quando il puling knez (principe) di Serbia, Lazar Hrebeljanović, radunò una coalizione di soldati cristiani, composta da serbi ma anche da bosniaci, magiari, albanesi e un contingente di mercenari sassoni. Il Sultano ottomano Murad I riunì anch’egli una coalizione di soldati e volontari dei vicini paesi di Rumelia e Anatolia. Fornire cifre esatte non è facile, ma resoconti degli storici più affidabili suggeriscono che l’esercito cristiano era di gran lunga inferiore a quello ottomano. Il totale dei due eserciti fa pensare a meno di 100.000 uomini. L’esercito serbo fu sgominato e Lazar trucidato, mentre Murad I fu ucciso da Miloš Obilić sulle cui origini si discute. Nonostante la battaglia sia stata mitizzata come una grande sconfitta serba, all’epoca l’opinione era divisa fra chi affermava che si fosse avuta una disfatta serba, una sostanziale parità e addirittura una vittoria serba. La Serbia mantenne infatti la propria indipendenza e lo sporadico controllo del Kosovo fino alla sconfitta finale del 1455, a seguito della quale la Serbia e il Kosovo diventarono parte dell’Impero ottomano e un alleato dei Turchi. La seconda e la più importante battaglia del Kosovo fu combattuta da Giorgio Castriota Scanderbeg, che liberò il Kosovo dall’invasione degli ottomani nella battaglia di Prizren il 10 ottobre 1445. L’esercito ottomano con 15.000 cavalieri guidato da Firuz Pascià aveva l’ordine di distruggere Scanderbeg e gli albanesi. Il Castriota lo attese alle gole di Prizren il 10 ottobre 1445 e ne uscì vincitore distruggendo l’esercito ottomano. Il Kosovo mantenne la propria indipendenza insieme all’Albania fino alla morte di Scanderbeg nel 1468. In seguito la regione fu conquistata di nuovo dai Turchi. La terza battaglia fu combattuta lungo l’arco di due giorni nell’ottobre del 1448, fra una forza ungherese comandata da Giovanni Hunyadi e un esercito ottomano guidato da Murad II. Significativamente più imponente della prima battaglia, con entrambi gli eserciti del doppio della consistenza della prima battaglia del 1389, il risultato finale fu però il medesimo, e l’esercito ungherese fu sconfitto in battaglia e cacciato in fuga. L’eroe albanese Skanderbeg non prese parte alla battaglia. Quando le sue truppe albanesi si mossero per unirsi a quelle ungheresi, esse caddero in un’imboscata tesa loro da Đurađ Branković, e non giunsero mai sul campo di battaglia. Sebbene la sconfitta in battaglia costituisse un passo indietro per quanti resistevano all’invasione ottomana dell’Europa a quel tempo, essa non costituì “un colpo definitivo per la causa”, tant’è vero che Hunyadi fu in grado di mantenere la resistenza ungherese attiva contro gli Ottomani durante tutta la sua vita.

Nell’Impero ottomano (1455-1912):
questo territorio fu per secoli governato dall’Impero ottomano, così come l’Albania e la Serbia. Durante questo periodo numerosi distretti amministrativi (noti come sangiaccati), ognuno retto da un sanjakbey agiva su porzioni di territorio. Grazie alla tolleranza religiosa islamica, un gran numero di cristiani continuò a vivere e talvolta a prosperare sotto gli ottomani. Un processo di islamizzazione cominciò poco dopo l’inizio del dominio ottomano ma esso prese un considerevole periodo di tempo – almeno un secolo – e fu concentrato dapprima nelle città. Sappiamo che molti abitanti cristiani albanesi si convertirono direttamente all’Islam, piuttosto di vedersi rimpiazzare da musulmani che provenivano da fuori del Kosovo. In gran parte i motivi della conversione furono probabilmente economici e sociali, dal momento che i musulmani godevano di assai maggior diritti e privilegi dei soggetti cristiani. La vita religiosa cristiana nondimeno continuò, con chiese che gli ottomani permisero fossero mantenute, anche se le chiese serbe ortodosse e albanesi cattoliche e le loro congregazioni subirono un alto livello di tassazione. Verso il XVII secolo, abbiamo evidenze di un crescente aumento della popolazione albanese inizialmente concentrata in Metochia. S’è detto che questo fu il risultato di migrazioni provenienti da sud-ovest (cioè la moderna Albania) e che gli emigrati portarono con loro l’Islam. C’è di sicuro traccia di migrazioni: numerosi albanesi cossovari avevano cognomi caratteristici degli abitanti della regione settentrionale albanese di Malësi. È anche chiaro che un piccolo numero di slavi – presumibilmente membri della chiesa serba ortodossa – si convertirono all’Islam sotto il dominio ottomano. Oggi numerosi slavi musulmani di Serbia vivono nella regione del Sangiaccato della Serbia meridionale, a nord-ovest del Kosovo. Gli storici ritengono che vi fosse probabilmente una preesistente popolazione, forse di albanesi cattolici, in Metochia che in gran parte si convertì all’Islam, ma rimase una decisa minoranza in una regione serba comunque spopolata. Nel 1689 il Kosovo fu gravemente coinvolto nella Grande Guerra turca (1683-1699), in uno degli eventi epocali della mitologia nazionale serba. Nell’ottobre di quell’anno, una piccola forza austriaca sotto il margravio Ludovico I di Baden aprì una breccia nell’Impero ottomano e si spinse tanto lontano da giungere in Kosovo, a seguito della sua prima conquista di Belgrado. Molti serbi e albanesi giurarono lealtà all’Impero asburgico, con alcuni di costoro che si unirono all’esercito di Ludovico guidati dal vescovo cattolico albanese Pietro Bogdano. Ciò non avvenne senza che vi fosse una reazione generale; numerosi altri serbi e albanesi combatterono dalla parte ottomana per resistere all’avanzata austriaca. Una massiccia contro-offensiva ottomana l’estate seguente obbligò gli austriaci a ripiegare nella loro fortezza di Niš, poi in quella di Belgrado e infine, attraversando il Danubio, nella stessa Austria. L’offensiva ottomana fu accompagnata da selvagge rappresaglie e razzie, inducendo numerosi serbi, inclusi Arsenije III, Patriarca della Chiesa ortodossa serba, a fuggire insieme agli austriaci. Questo evento è stato immortalato nella storia serba come il Velika Seoba ossia “Grande Migrazione”. Si dice tradizionalmente che si ebbe un gigantesco esodo di centinaia di migliaia di rifugiati serbi dal Kosovo e dalla Serbia, che lasciò un vuoto riempito da un flusso di immigranti albanesi. Arsenije stesso scrisse di “30.000 anime” che fuggirono con lui in Austria: numero confermato da altre fonti.

Il XIX secolo:
a partire dall’era napoleonica l’Impero Turco fu lacerato da una profonda crisi interna e si avviò verso un periodo di declino. La Serbia, sostenuta anche dall’Impero Russo, ottenne la sua autonomia dall’Impero ottomano con due rivoluzioni: nel 1804 (guidata da Đorđe Petrović – Karađorđe) e nel 1815 (con Miloš Obrenović), e si strutturò nel semi-indipendente principato di Serbia (1815), sebbene le truppe turche continuassero a presidiare la capitale, Belgrado, fino al 1867. Il Principato (kneževina o knjaževina) di Serbia ottenne il riconoscimento internazionale della propria indipendenza, concessa dai turchi alla Pace di Santo Stefano, al successivo Congresso di Berlino del 1878, assieme al vicino Montenegro, e divenne il regno di Serbia a partire dal 1882. Durante tutto questo periodo la politica interna dello stato serbo ruotò soprattutto attorno alle rivalità e alle lotte dinastiche fra le due famiglie più importanti, gli Obrenović e i Karađorđević. Ci fu infatti un’alternanza al potere fra queste due dinastie, discendenti rispettivamente da Đorđe Petrović – Karađorđe, guida della prima rivoluzione serba, e Miloš Obrenović, leader della seconda rivoluzione serba. Dopo 45 anni di dominio Obrenović, il colpo di stato del 1903 fece re Petar Karađorđević, che dette alla Serbia una costituzione democratica e l’inizio di una democrazia liberale e di un governo parlamentare. Un obiettivo comune per tutto il periodo fu comunque l’espansione dello stato su tutte le terre abitate da serbi, fossero esse dominate dall’Impero austriaco o dall’Impero ottomano. In seguito a queste guerre si trovarono in Kosovo molti profughi albanesi dai territori conquistati dalla Serbia. Il vilayet del Kosovo fu uno dei quattro vilayet con abitanti albanesi che formarono la Lega di Prizren. Lo scopo della Lega era di resistere al dominio ottomano e soprattutto alle incursioni provenienti dalle nazioni balcaniche di recente costituzione, che frantumavano l’unità politica degli albanesi. La Lega era sostenuta dal sultano per la sua ideologia pan-islamica, che divenne presto anti-cristiana, sia contro i cattolici albanesi che contro gli ortodossi serbi, che presero a migrare verso la Serbia. Su pressione delle potenze europee dal 1881 l’Impero ottomano contrastò la Lega, che rispose creando un governo provvisorio che fu sconfitto solo nel 1884. Tuttavia, con il successivo Trattato di Santo Stefano la Serbia dovette abbandonare ogni forma di controllo sul Kosovo. Nel 1910, in risposta al crescente nazionalismo e centralismo turco, un’insurrezione albanese, che forse fu aiutata in modo surrettizio dai Giovani Turchi per spingere la Sublime Porta ad una maggiore repressione, scoppiò a Pristina e presto si allargò all’intero vilayet del Kosovo, resistendo per un periodo di vari mesi. Il Sultano ottomano visitò il Kosovo nel giugno 1911 durante i colloqui di pace che riguardavano tutti gli abitanti delle regioni albanesi. La Lega di Prizren voleva unificare i quattro vilayet in cui vivevano gli albanesi in un unico stato, ma le minoranze serba (25% in Kosovo) e di altre etnie si opposero con successo.

Le guerre balcaniche (1912-1913): grazie alla mediazione russa, gli stati balcanici conclusero una serie di accordi in funzione anti-turca nel 1912: tra la Serbia e la Bulgaria nel marzo 1912; tra la Bulgaria e la Grecia nel maggio 1912; il Montenegro, infine, siglò accordi con Serbia e Bulgaria nell’ottobre 1912. Proprio in seguito a questi accordi (la Lega balcanica), l’8 ottobre si ebbe lo scoppio della Prima guerra balcanica. In meno di due mesi, gli Ottomani persero quasi tutti i loro possedimenti nella penisola balcanica e conclusero un armistizio il 3 dicembre, cui fece seguito la Conferenza di Londra, a partire dal 17 dicembre 1912. Le condizioni di pace furono però giudicate inaccettabili dall’Impero ottomano, sicché le ostilità ripresero fino a un nuovo armistizio, stabilito il 19 aprile 1913. Con la mediazione delle principali potenze europee, il 30 maggio 1913 fu firmato il Trattato di Londra, che pose fine alla guerra. Sconfitto sul campo l’Impero ottomano, che aveva lungamente negato autonomia al Kosovo, la Conferenza di Londra, a seguito delle specifiche e pressanti richieste in tal senso dell’Austria-Ungheria, negò alla Serbia l’accesso al mare che essa aveva fortemente richiesto, da realizzare annettendo ad essa territori lungo la valle del fiume Drina, sino all’Adriatico. Per contro, la Francia e la Russia, operarono affinché alla Serbia fosse concesso il controllo della Macedonia e del Kosovo, mentre la Metochia fu affidata al Montenegro e fu concessa l’indipendenza all’Albania. Al momento della riconquista del Kosovo da parte dei serbi, i cittadini di etnia albanese corrispondevano a circa il 60% del totale degli abitanti della provincia. L’occupazione serba fu realizzata a prezzo di gravi massacri: si stima che circa 20.000 kosovari, in prevalenza albanesi, furono giustiziati. In tal modo, nel giugno 1913, alla conclusione della Conferenza a Londra, un gran numero di cittadini di etnia albanese si trovò sottoposto ad un potere serbo oppressivo, con il beneplacito delle grandi diplomazie europee. Richiamandosi alla battaglia del 1389, il governo serbo pianificò una ricolonizzazione del Kosovo da parte di famiglie serbe, mentre si distruggevano le case di turchi e albanesi emigrati o fuggiti.

Nel Regno di Jugoslavia (1913-1941):
scoppiata nell’agosto 1914 la Prima guerra mondiale, l’esercito serbo fu logorato, sconfitto e costretto alla ritirata verso l’Adriatico attraverso il Kosovo che, a partire dall’inverno 19151916, fu occupato da truppe dell’Austria-Ungheria e della Bulgaria, con il sostegno della popolazione albanese. Nel 1918, l’esercito serbo rientrò in Kosovo e ne scacciò le truppe degli Imperi centrali, vendicandosi con atrocità sulla popolazione. Dopo la sconfitta degli Imperi Centrali (novembre 1918), l’unione tra Serbia e Montenegro (1º dicembre 1918) nel nuovo Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, in seguito rinominato Regno di Jugoslavia, si vide riconosciuto nel 1919 il controllo del Kosovo e della Metochia, ora riuniti. Si tornò così, nella provincia, alla situazione creatasi nel 1913, con il Kosovo formalmente annesso al nuovo Regno, il cui monarca Alessandro I avviò contatti con la Turchia al fine di aver mano libera nella campagna di repressione che intraprese contro la resistenza alle annessioni opposta dai Kaçaks albanesi del Kosovo e dai Komitadjis in Macedonia. All’esodo forzato dei cittadini di etnia albanese si aggiunsero misure che favorirono l’immigrazione al loro posto di cittadini di etnia serba e montenegrina. Questa lenta politica di pulizia etnica e culturale proseguì sino alla vigilia della Seconda guerra mondiale, quando i cittadini di etnia albanese in Kosovo furono ridotti a meno del 50%.

La seconda guerra mondiale (1941-1945):
a seguito dell’invasione della Jugoslavia condotta nell’aprile 1941 dagli eserciti tedesco ed italiano, le rispettive forze d’occupazione si divisero il controllo della provincia del Kosovo. Il ricco nord minerario rimase incluso, come in precedenza, nella Serbia occupata dalla Germania, mentre il sud fu incorporato all’Albania, sotto occupazione italiana (Provincia di Pristina). Durante l’occupazione da parte dell’Albania (stato fantoccio dell’Italia, avente per primo ministro Mustafa Kruja), solo entro l’agosto 1941 dai 10.000 ai 30.000 Serbi furono uccisi e tra 80.000 e 100.000 furono espulsi, sostituiti da quasi lo stesso numero di
coloni provenienti dall’Albania. Nel 1943 la caduta del Fascismo in Italia portò all’occupazione nazista. Il gerarca Heinrich Himmler, capo delle SS, si adoperò per costituire, impiegando essenzialmente personale albanese kosovaro di religione musulmana, la 21.esima Divisione Waffen SS da montagna Skanderbeg (eroe nazionale albanese), la quale ebbe come primo obiettivo lo sterminio della popolazione serba del Kosovo. Le azioni della divisione SS Skanderbeg condussero al massacro di diverse migliaia di cittadini di etnia serba e all’esilio generalizzato dei superstiti verso la Serbia occupata. Dopo numerose sollevazioni dei partigiani guidati da Fadil Hoxha, alla fine del 1944 il Kosovo fu liberato da parte dei comunisti jugoslavi e albanesi e divenne una provincia serba nella nuova repubblica jugoslava.

Nella Jugoslavia (1946-1999):
ai profughi di guerra serbi il regime comunista, instaurato in Jugoslavia sotto la guida del Maresciallo Tito a partire dal 1944 e dopo la fine della guerra, vietò in larga parte il ritorno alle proprie case in Kosovo, frattanto riunificato e riannesso allo Stato Jugoslavo. Il vuoto lasciato dai cittadini serbi massacrati o espulsi dal Kosovo da parte dei nazisti era stato frattanto colmato da cittadini di etnia albanese, una parte dei quali era a sua volta stata espulsa dal Kosovo nel periodo tra le due guerre. Tito era convinto che “una Serbia debole equivale ad una Jugoslavia forte”: anche per questo lo status costituzionale del Kosovo nella Jugoslavia titina era quello di provincia autonoma della Serbia (come la Voivodina), uno status di grande autonomia (dal 1963 e soprattutto dal 1974) ma non paritario con le sei repubbliche costituenti (Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro, Macedonia) le quali avevano il diritto costituzionale di secessione. Nonostante il grande impegno intrapreso da Belgrado per valorizzare il Kosovo e promuoverne la crescita economica in modo da smorzare il crescente divario in termini di qualità della vita in confronto alle altre repubbliche della federazione, l’economia regionale non riuscì a decollare come voluto. Negli anni ’70 infatti furono destinati massicci investimenti al Kosovo indirizzati sia verso il comparto industriale, che in termini di sviluppo e valorizzazione del capitale umano, come ad esempio con l’apertura dell’università di Pristina, e fu istituito un fondo speciale destinato appunto a finanziare tali progetti che poi si rivelerà motivo di disputa tra le varie repubbliche durante la crisi economica che colpì la Jugoslavia un decennio più tardi. Dal canto suo, l’etnia albanese aveva manifestato chiedendo invano per il Kosovo lo status di repubblica nel 1968 e di nuovo all’inizio degli anni 80 quando ebbero luogo le primavere di Pristina (1981-82) segnate da un’escalation di violenza e di attentati da parte dell’etnia albanese (contro le istituzioni federali) che protestava per le precarie condizioni in cui versava la regione e spingeva per una maggiore autonomia, tutto questo a pochi mesi dalla morte di Tito. Nel 1987 Slobodan Milošević, allora leader della Partito comunista della Serbia, dovette recarsi in Kosovo per cercare di tranquillizzare la situazione, che nel frattempo si era notevolmente riscaldata, e cercare di dare conforto alla sempre più esigua minoranza serba rimasta nella regione che iniziava a sentirsi tradita da Belgrado e lasciata al suo destino dato che la sicurezza offerta dal governo federale non bastava più vista la nuova ondata di violenza, ma – promettendo che “mai più nessuno potrà toccare un serbo nella sua terra” – fu immediatamente catalogato dell’opinione pubblica come nazionalista. Una volta salito al potere nel marzo 1989 Milošević riuscì a far revocare (in modo non del tutto costituzionale) gran parte dell’autonomia del Kosovo e della Vojvodina; fu, tra l’altro, revocato lo status paritario goduto dalla lingua albanese (fino ad allora lingua co-ufficiale nel Kosovo accanto al serbo-croato). Il 28 giugno 1989, 600º anniversario della prima battaglia del Kosovo, a Kosovo Polje, sito della battaglia, Milošević – dall’8 maggio Presidente della Repubblica di Serbia – pronunciò un violento discorso contro l’etnia albanese, assimilandola ai turchi ottomani. Da un lato, questo discorso fu una delle cause che portò alla disgregazione della Jugoslavia. Dall’altro, segnò l’avvio di una politica di assimilazione della provincia, con la chiusura delle scuole autonome di lingua albanese e la sostituzione di funzionari amministrativi e insegnanti con serbi o persone ritenute fedeli alla Serbia. Inizialmente l’etnia albanese reagì alla perdita dei suoi diritti costituzionali con la resistenza non violenta, guidata dalla Lega democratica del Kosovo (LDK) di Ibrahim Rugova. Gli albanesi boicottarono le istituzioni ed elezioni ufficiali e stabilirono istituzioni e scuole separate, dichiararono l’indipendenza della Repubblica del Kosovo (2 luglio 1990), riconosciuta solo dall’Albania (tornata da pochissimo democratica), adottarono una costituzione (settembre 1990) e tennero un referendum sull’indipendenza (1992), che registrò l’80% dei votanti con un 98% di sì (senza riconoscimento ma con osservatori internazionali). Tuttavia, dal 1995, dopo la fine della guerra di Bosnia-Erzegovina, una parte degli albanesi kosovari scelse la lotta armata indipendentista, guidata dalla Ushtria Çlirimtare e Kosovës (UCK). Questa organizzazione – che si avvalse anche di veterani di quella guerra – si macchiò di crimini pari a quelli dell’esercito jugoslavo non solo nei confronti della popolazione kosovara slavofona ma anche verso quella componente kosovaro albanese rimasta neutrale al conflitto e perciò ritenuta traditrice. Alla spirale di violenza, il governo di Belgrado, rappresentante dello Stato territorialmente sovrano, rispose con il pugno di ferro: agli albanesi del Kosovo, si sosteneva a Belgrado, erano riconosciuti in quanto cittadini e in quanto minoranza, tutti i diritti civili e politici, secondo i più elevati standard internazionali; ciò nonostante, essi sfruttavano la situazione per cercare di realizzare le proprie ambizioni separatiste e irredentiste, che il governo centrale aveva il dovere di reprimere e che gli Stati esteri non dovevano alimentare. In realtà, Milosevic si sentiva legittimato, nella sua mano libera in Kosovo, per il fatto che quella questione non era stata sollevata dalle potenze occidentali intervenute nella regione con gli accordi di Dayton. Ebbe inizio la politica repressiva e paranoica di Miloševič contro i kosovari di etnia albanese, distinguendosi per vari massacri, portando alla morte molti civili (cifre non confermate: circa 11.000 albanesi[ e circa 5000 serbi) e distruzione di molte abitazioni private, scuole e altri edifici, incluse moschee, una parte della popolazione albanese appoggiò la guerriglia, mentre l’altra parte della popolazione (circa 800.000 civili) fuggì dal Kosovo verso l’Albania e soprattutto verso la Macedonia dove si rifugiarono tra l’altro anche vari combattenti dell’UCK che un anno più tardi provocheranno ulteriori disordini e ribellioni anche in questa repubblica costringendo infine l’esercito macedone ad intervenire. (Insurrezioni in Macedonia gennaio-novembre 2001) Nel 1999 scoppiò un conflitto armato vero e proprio, che vide l’intervento di diverse forze internazionali in protezione della componente albanese del Kosovo, presa di mira dal governo centrale di Belgrado. La pulizia etnica fu fermata, e le due parti, quella serbo kosovara e quella kosovaro albanese, furono invitate inutilmente a trovare una soluzione in comune.

L’amministrazione ONU (dal 1999):
in base alle Risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite numero 1244 del 1999, il Kosovo fu provvisto di un governo e un parlamento provvisori, e posto sotto il protettorato internazionale UNMIK e NATO. Negli anni successivi la situazione è andata lentamente normalizzandosi, anche perché l’etnia albanese era ormai prevalente in quasi tutto il Kosovo ma nonostante ciò la violenza non si è placata del tutto. Vari pogrom albanesi si verificarono nei confronti dei serbi rimasti (soprattutto nei villaggi dove erano in maggioranza schiacciante) come nel marzo 2004, quando numerose chiese e monasteri cristiani, risalenti soprattutto al medioevo, furono danneggiate staccando le croci dai tetti e imbrattandone gli interni con “ogni tipo di cosa”, furono uccise numerose persone e sfollate moltissime case serbe, tutto questo nell’arco di cinque giorni (oltre 60 tra chiese e monasteri erano stati distrutti nei cinque anni precedenti a questi disordini. Dopo la morte del presidente Ibrahim Rugova (avvenuta nel gennaio 2006), furono avviati i negoziati tra delegazione kosovara Serba e delegazione kosovara Albanese sotto la guida del mediatore ONU Martti Ahtisaari per la definizione dello status futuro della provincia serba. Nonostante numerosissimi incontri tra le diverse parti, il piano per lo status finale del Kosovo preparato da Ahtisaari non fu mai condiviso né dai serbi, che non volevano perdere la sovranità sulla provincia, né dai kosovari, che ambivano alla piena indipendenza. Il 17 novembre 2007 si sono tenute le elezioni per rinnovare sia l’assemblea parlamentare del Kosovo che i comuni. Le elezioni sarebbero dovute avvenire nel 2006, ma furono rinviate nella speranza di risolvere in breve tempo la questione dello status. Così non è stato, e le profonde divisioni con la Serbia hanno portato al boicottaggio elettorale degli stessi serbi del Kosovo ed una bassa affluenza alle urne da parte dei kosovari albanesi. Ha prevalso il Partito democratico (Pdk) dell’ex capo guerrigliero dell’Uck, Hashim Thaci, che ha superato per la prima volta la Lega democratica (Ldk) del defunto presidente Rugova. Thaci ha avviato un governo albanofono di grande coalizione per gestire il processo verso la piena indipendenza del Kosovo. Il 10 dicembre 2007 è scaduto il periodo dei negoziati condotti dall’ONU, che hanno fatto registrare un sostanziale nulla di fatto, con Serbia e Kosovo rimasti sulle rispettive posizioni. Le autorità kosovare hanno insistito nel voler proclamare l’indipendenza in modo unilaterale (soluzione ovviamente preferita da parte della maggioranza albanese e che ha come unico precedente il caso di Timor Est). Il 16 febbraio 2008 l’Unione Europea, un giorno prima dell’annunciata proclamazione d’indipendenza, ha approvato l’invio di una missione civile internazionale in Kosovo (chiamata “EULEX”), in sostituzione della missione UNMIK, per accompagnare il Paese in questo periodo di transizione. La missione comprende 2000 uomini (fra i quali più di 200 italiani), e ha l’obiettivo di sostenere le autorità kosovare nel mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico, nel settore doganale e nell’amministrazione della giustizia. Da parte serba si fa notare come da un punto di vista sostanziale tale missione, priva di un mandato diretto da parte dell’ONU, sia quantomeno di dubbia legalità. La missione EULEX infatti, trae la propria legittimità solo dall’invito ad operare in Kosovo che il “Presidente” kosovaro Sejdiu ha indirizzato all’Unione Europea.

Lo status del Kosovo nella nuova Costituzione della Serbia del 2006:
gli articoli 108-117 della Costituzione della Serbia garantiscono al Kosovo lo status di Provincia autonoma. Il 28 giugno 2008 è stata adottata dal Governo serbo la “Dichiarazione sull’istituzione dell’assemblea della comunità dei comuni della provincia autonoma del KosovoMetohija”  Un Ministero per il Kosovo-Metohije è istituito presso il Governo serbo.

La proclamazione dell’indipendenza del 2008:
il 17 febbraio 2008 il Parlamento di Pristina, riunito in seduta straordinaria, ha approvato la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo letta dal premier Hashim Thaçi e ha battezzato i suoi simboli nazionali: la bandiera e lo stemma. Il discorso pronunciato dal premier parla di una Repubblica democratica, secolare e multietnica, guidata da principi di non discriminazione e uguale protezione da parte della Legge. Immediatamente dopo la proclamazione, il governo serbo si è affrettato a dichiarare illegittima tale affermazione,chiarendo che mai la riconoscerà. Lo stesso 17 febbraio il governo della Costa Rica è stato il primo paese a riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Il 18 febbraio sono arrivati gli importanti riconoscimenti da parte di Stati Uniti e Albania. L’Unione Europea, riunita in assemblea a Strasburgo non è riuscita a disegnare una linea guida unitaria e ha lasciato i vari stati liberi di riconoscere la provincia secessionista. Da tempo si erano dichiarati favorevoli Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia, mentre fortemente contrari sono Spagna, Grecia, Cipro e Romania, che vedono in un riconoscimento ufficiale un gravissimo pericolo di instabilità interna per le autonomie che chiedono più spazi e riconoscimenti (vedasi i Paesi Baschi e Cipro del Nord tra gli altri). In campo extraeuropeo, fortemente contrari sono Russia e Cina, entrambe con potere di veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU che non si è pronunciato a favore dell’indipendenza, ribadendo che resta valida la propria Risoluzione n. 1244. Ufficialmente in Kosovo vige ancora la Risoluzione numero 1244 che definisce il territorio kosovaro sotto sovranità serba. Sembra inoltre profilarsi il rischio di una nuova separazione territoriale, ad opera della comunità serba che risiede nella parte nord del Kosovo (Kosovo del Nord) confinante con la Serbia (a nord del fiume Ibar), tuttora in una situazione caotica dal punto di vista istituzionale. La comunità serba, maggioranza in questa zona, minaccia infatti a sua volta la separazione dal Kosovo e il ricongiungimento con la Serbia. Questo provocherebbe di fatto la divisione della città di Kosovska Mitrovica, attraversata essa stessa dal fiume e abitata dai serbi sul lato nord e dagli albanesi sul lato sud. Il 9 aprile 2008 il Parlamento del Kosovo ha votato all’unanimità la nuova Costituzione. Il capo della missione Eulex ha controfirmato il testo, riconosciuto essere in linea con gli indirizzi degli Stati europei. Nella Costituzione si sancisce che il Kosovo sarà uno stato laico e rispetterà la libertà di culto, garantendo i diritti di tutte le comunità etniche. La Costituzione è entrata in vigore il 15 giugno 2008, data nella quale è avvenuto anche il passaggio di consegne definitivo dalla missione UNMIK alla missione EULEX. Il 22 luglio 2010 la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo non ha infranto il Diritto Internazionale, in quanto essa, da sola, non viola le leggi internazionali e nemmeno la risoluzione 1244 dell’Onu, la cui validità è stata riconfermata. Il 9 settembre 2010 è stata approvata alle Nazioni Unite una risoluzione preparata dalla Serbia e dall’Unione Europea che ha aperto la strada ai negoziati tra Belgrado e Pristina. Il 19 aprile 2013 è stato firmato un accordo, sponsorizzato dall’Unione Europea, tra Belgrado e Kosovo. L’accordo, nel quale la Serbia non riconosce l’indipendenza, riconosce comunque l’autonomia del Kosovo e in qualche modo legittima il governo kosovaro attuale. Cuore dei negoziati è stato il futuro dei serbi del Kosovo del Nord, ai quali il governo kosovaro ha riconosciuto una certa autonomia, comunque inquadrata all’interno delle istituzioni della Repubblica del Kosovo. Il governo serbo smantella le istituzioni parallele, ancora esistenti nel nord Kosovo, e sponsorizza la partecipazione della popolazione serba alle elezioni amministrative organizzate per il 3 novembre 2013.

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